Quando un regime trentennale dall'apparenza monolitica ha paura di un ventenne “internettiano” e dei suoi compagni “smanettoni”, forse è ora di dubitare sulla sua stabilità e rimanere in ascolto per percepirne gli scricchiolii.
Soprattutto perché il giovane in questione, Abdel Kareem Nabil Suleiman, 26 anni, unico blogger egiziano ad aver scontato una pena detentiva (di quattro anni) per i suoi scritti sul web, ritenuti altamente diffamatori nei confronti del presidente Hosni Mubarak e della fede islamica, non sembra più in grado di nuocere a nessuno.
Ma, evidentemente, marcire fino al 5 novembre scorso nel carcere di Burg El Arab, ad Alessandria d'Egitto, è stato giudicato dalle autorità insufficiente: Abdel Kareem, secondo le ricostruzioni della stampa indipendente e delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, è stato subito riacciuffato dai servizi segreti egiziani, arrestato senza che gli fossero notificate nuove accuse (ma questa non è una novità in un Paese in cui, dal 1981, vige la legge marziale) e sbattuto in cella per altri 12 giorni.
Fino al 17 novembre, quando la famiglia ha potuto riabbracciare la brutta copia del proprio caro. In quei 10 giorni supplementari di “rieducazione”, il blogger ha ricevuto un messaggio chiaro: sei libero, ma non ti azzardare ad aprire mai più la bocca.
Ai tempi del suo diario in rete, Nabil scriveva con il nom de plume Kareem Amer e metteva alla berlina le magagne del governo, dell'Islàm conservatore, che ha preso piede nel Paese negli ultimi vent'anni, e della moschea universitaria di Al Azhar, in cui studiava giurisprudenza.
Della millenaria istituzione, punto di riferimento di tutti i sunniti nel mondo, Kareem Amer diceva: «L'università del terrorismo». E poi ancora: «I musulmani hanno rivelato il loro vero spaventoso volto, mostrando al mondo che sono brutali, barbari e inumani».
Il giudice che lo ha condannato ha riportato un altro commento del blogger sovversivo: il profeta Mohammed e i suoi adepti sono «”versatori” di sangue».
Ed è stata proprio questa sua presa di posizione anti-islamista, con toni senza precedenti, ad averlo reso vulnerabile: si fosse limitato alle critiche al regime, Kareem Amer avrebbe trovato consensi trasversali nelle file dell'opposizione, laica e religiosa. E probabilmente sarebbe rimasto in carcere qualche settimana, senza sentenza, come avvertimento. Quello che è successo ad altri suoi “colleghi” di dissidenza sul web.
Ma parlar male della religione proprio no. Ammettere che esiste un problema “integralismo islamico” non è cosa. D'altronde, quanto ascolto possono avere le voci controcorrente in un Paese in cui, nel pieno centro della capitale, un anno fa una prestigiosa gelateria cercava “commessi, solo uomini, musulmani praticanti”?
Dal novembre 2006, data del suo primo arresto, Abdel Kareem Nabil Suleiman ha ricevuto l'appoggio di numerose sigle internazionali, fra cui Reporters senza frontiere e il Comitato per la protezione dei giornalisti, che hanno considerato i suoi interventi in rete e quelli di altri blogger egiziani una forma di giornalismo a tutti gli effetti, vissuto sul campo, ad alto contenuto informativo proprio perché gratuito.
Come quelli di Wael Abbas (misrdigital.blogspirit.com), Nawara Negm (tahyyes.blogspot.com), Alaa Abd El Fatah e sua moglie Manal (www.manalaa.net), Rehab Bassam (www.rehabbassam.com), Yasser Thabet (yasser-best.blogspot.com), Zeinobia (egyptianchronicles.blogspot.com), o gli “aggregatori” Omraneya (www.omraneya.net), Baheyya (baheyya.blogspot.com), The Egyptian blog (theegyptblog.blogspot.com).
Gli argomenti di cui tratta la comunità, “fiorita” insieme a una stagione di rinnovato attivismo politico nel biennio 2004-2005, sono i più vari e intrecciati fra loro (arte, cultura, società, politica, religione), ma è ovvio che sul web abbiano trovato sfogo naturale tutti coloro le cui opinioni sono censurate nella vita quotidiana. A scuola, all'università, sul lavoro, in moschea, in famiglia.
Per non parlare di quelli nati in occasioni specifiche: per esempio, per lo sciopero degli operai del cotonificio di Mahalla El Kubra, il più grande di tutto il Medio Oriente, asserragliati dentro lo stabilimento circondato dall'esercito e in contatto con il mondo solo grazie al web.
In poco più di cinque anni i blogger hanno denunciato e documentato casi di corruzione, tortura, discriminazione sessuale, violenza settaria come mai prima. Hanno suscitato dibattiti infuocati nell'opinione pubblica per poi scomparire nella rete, talvolta individuati dai servizi segreti e più spesso no.
Ora, a dieci giorni dalle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea popolare, la Camera bassa del Parlamento egiziano, mentre gli Stati Uniti premono sul Cairo affinché accetti la presenza di osservatori internazionali per controllare la trasparenza del voto, il regime guidato da Hosni Mubarak, 82 anni, lancia segnali di irrigidimento: rifiuta, attraverso i canali ufficiali e gli organi di stampa nazionali, qualsiasi ingerenza esterna nella propria politica; fa arrestare esponenti di spicco della Fratellanza musulmana, unico vero movimento di opposizione in grado di mettere in discussione il potere assoluto del Partito nazionale democratico (Ndp); ostacola raduni politici e dibattiti, o li “imbottisce” di agenti dell'intelligence in borghese.
E libera sì un blogger noto su scala internazionale (per Abdel Kareem si sono mobilitate associazioni statunitensi, inglesi, francesi, svedesi), ma terrorizzato e invecchiato di vent'anni.
La situazione, per i dissidenti, potrebbe peggiorare il prossimo anno, all'avvicinarsi delle elezioni presidenziali. Il voto 2011 potrebbe sancire il passaggio dei poteri dal presidente, che sta ultimando il quinto mandato consecutivo, e un successore: forse il figlio Gamal, forse un alto esponente dell'Ndp.
Per questo le legislative del 28 novembre rappresentano l'apertura di una stagione dagli esiti tutt'altro che certi.
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venerdì 19 novembre 2010
giovedì 18 novembre 2010
Fumetti dissacranti
Uno spaccato di vita metropolitana, fra ingorghi di macchine e umanità, fermate del metrò sovraffollate, inquinamento, sporcizia, soli accecanti e aria rovente impastata di sabbia.
E anche fermento culturale, impegno politico, lotte intergenerazionali, corruzione endemica e nobiltà d'animo, generosa e gratuita. In bilico fra amore e odio, sul confine labile fra adorazione ipnotica e repulsione disgustata, come solo chi ha vissuto in una grande capitale africana ha sperimentato nello stesso istante.
Questo è “Metro”, fumetto egiziano pubblicato al Cairo nel 2008 in poche centinaia di copie e subito entrato in clandestinità perché censurato dalle autorità.
Perché la prima graphic novel egiziana in assoluto ha spiazzato la leadership politica, abituatasi negli ultimi anni alle contestazioni, ma attraverso strumenti tutto sommato controllabili: sporadiche e “spelacchiate” manifestazioni di attivisti politici, con il partito Al Ghad (Il Domani) di Ayman Nour e il movimento Kefaya (Basta) in prima linea ieri, e i riformisti di Mohammed El Baradei, ex numero uno dell'Agenzia delle Nazioni Unite per l'energia atomica (Aiea), impegnati oggi.
E poi qualche romanzo di risonanza internazionale “bonificato” dalla censura (“Il palazzo Yacoubian”, di Alaa El Aswani) e testate giornalistiche indipendenti funzionali a garantire una facciata pluralistica al regime trentennale di Hosni Mubarak.
Ma i disegni no, nessuno aveva ancora pensato di trasformare in fumetti la realtà quotidiana di un Paese di 80 milioni di abitanti, di cui la metà circa semi-analfabeta. E per di più utilizzando il dialetto, cioé la lingua parlata dalla gente, ironica e dissacrante, disillusa e fatalista. Questo deve avere spiazzato il (quasi) partito unico Nazionale democratico, già alle prese con inafferrabili blogger.
Ora le tavole dal tratto asciutto, che poco concede ai barocchismi, del giovane disegnatore Magdy El Shafie, di formazione farmacista, raggiungeranno il pubblico italiano grazie a un'edizione curata da Il Sirente, per la traduzione di Ernesto Pagano, in uscita a fine novembre.
«Si tratta di una scommessa, per sapere se in Italia avrà un riscontro di pubblico bisognerà aspettare. Ma non ho dubbi sul valore del fumetto», ha spiegato a Lettera43.it il traduttore Ernesto Pagano, alle spalle l'esperienza, sempre per Il Sirente, con il bestseller “Taxi” di Khaled Al Khamissi (raccolta di dialoghi autentici e paradossali fra l'autore e i taxisti del Cairo).
Si è pensato anche a rendere il dialetto egiziano con quello siciliano, per tradurre la vivacità di una lingua colorita. Poi, la scelta finale dell'italiano corrente.
«I personaggi sono tipizzati con decisione», come Shehad, il protagonista, giovane studente universitario brillante e frustrato perché difficilmente potrà realizzare le proprie ambizioni in una realtà immobile come quella del Paese arabo.
E poi una carrellata di “marionette” tormentate, fra cui giornalisti, lustrascarpe, portinai, “scugnizzi” dei quartieri popolari, immigrati nella capitale dal Saïd, il profondo Sud.
Tutti «in gabbia, metafora della prigionia sociale e culturale» in cui hanno coscienza di vivere soprattutto i più giovani, ha commentato Pagano, convinto che “Metro” possa avere un'audience fra coloro «che vogliono scoprire un Egitto diverso, attuale, lontano da Sharm El Sheikh», in ebollizione costante.
I segnali, nel mondo editoriale italiano e, di riflesso, fra il pubblico, ci sono tutti: mentre fioriscono i corsi di lingua araba universitari ed extra universitari, non mancano gli esperimenti di collane letterarie dedicate ai nuovi fenomeni emergenti della letteratura araba. Talvolta “pescati” fra le file degli autori più trasgressivi, senza peli sulla lingua. Oppure, perché no, commerciali.
Per immagini e contenuti, ritenuti troppo spinti, autore ed editore, Mohammed Sharqawi, sono stati processati e condannati alla distruzione di tutte le copie del volume. Quelle ancora nelle librerie. Per le altre, rien ne va plus.
http://www.lettera43.it/articolo/2747/la-graphic-novel-censurata-in-egitto.htm
E anche fermento culturale, impegno politico, lotte intergenerazionali, corruzione endemica e nobiltà d'animo, generosa e gratuita. In bilico fra amore e odio, sul confine labile fra adorazione ipnotica e repulsione disgustata, come solo chi ha vissuto in una grande capitale africana ha sperimentato nello stesso istante.
Questo è “Metro”, fumetto egiziano pubblicato al Cairo nel 2008 in poche centinaia di copie e subito entrato in clandestinità perché censurato dalle autorità.
Perché la prima graphic novel egiziana in assoluto ha spiazzato la leadership politica, abituatasi negli ultimi anni alle contestazioni, ma attraverso strumenti tutto sommato controllabili: sporadiche e “spelacchiate” manifestazioni di attivisti politici, con il partito Al Ghad (Il Domani) di Ayman Nour e il movimento Kefaya (Basta) in prima linea ieri, e i riformisti di Mohammed El Baradei, ex numero uno dell'Agenzia delle Nazioni Unite per l'energia atomica (Aiea), impegnati oggi.
E poi qualche romanzo di risonanza internazionale “bonificato” dalla censura (“Il palazzo Yacoubian”, di Alaa El Aswani) e testate giornalistiche indipendenti funzionali a garantire una facciata pluralistica al regime trentennale di Hosni Mubarak.
Ma i disegni no, nessuno aveva ancora pensato di trasformare in fumetti la realtà quotidiana di un Paese di 80 milioni di abitanti, di cui la metà circa semi-analfabeta. E per di più utilizzando il dialetto, cioé la lingua parlata dalla gente, ironica e dissacrante, disillusa e fatalista. Questo deve avere spiazzato il (quasi) partito unico Nazionale democratico, già alle prese con inafferrabili blogger.
Ora le tavole dal tratto asciutto, che poco concede ai barocchismi, del giovane disegnatore Magdy El Shafie, di formazione farmacista, raggiungeranno il pubblico italiano grazie a un'edizione curata da Il Sirente, per la traduzione di Ernesto Pagano, in uscita a fine novembre.
«Si tratta di una scommessa, per sapere se in Italia avrà un riscontro di pubblico bisognerà aspettare. Ma non ho dubbi sul valore del fumetto», ha spiegato a Lettera43.it il traduttore Ernesto Pagano, alle spalle l'esperienza, sempre per Il Sirente, con il bestseller “Taxi” di Khaled Al Khamissi (raccolta di dialoghi autentici e paradossali fra l'autore e i taxisti del Cairo).
Si è pensato anche a rendere il dialetto egiziano con quello siciliano, per tradurre la vivacità di una lingua colorita. Poi, la scelta finale dell'italiano corrente.
«I personaggi sono tipizzati con decisione», come Shehad, il protagonista, giovane studente universitario brillante e frustrato perché difficilmente potrà realizzare le proprie ambizioni in una realtà immobile come quella del Paese arabo.
E poi una carrellata di “marionette” tormentate, fra cui giornalisti, lustrascarpe, portinai, “scugnizzi” dei quartieri popolari, immigrati nella capitale dal Saïd, il profondo Sud.
Tutti «in gabbia, metafora della prigionia sociale e culturale» in cui hanno coscienza di vivere soprattutto i più giovani, ha commentato Pagano, convinto che “Metro” possa avere un'audience fra coloro «che vogliono scoprire un Egitto diverso, attuale, lontano da Sharm El Sheikh», in ebollizione costante.
I segnali, nel mondo editoriale italiano e, di riflesso, fra il pubblico, ci sono tutti: mentre fioriscono i corsi di lingua araba universitari ed extra universitari, non mancano gli esperimenti di collane letterarie dedicate ai nuovi fenomeni emergenti della letteratura araba. Talvolta “pescati” fra le file degli autori più trasgressivi, senza peli sulla lingua. Oppure, perché no, commerciali.
Per immagini e contenuti, ritenuti troppo spinti, autore ed editore, Mohammed Sharqawi, sono stati processati e condannati alla distruzione di tutte le copie del volume. Quelle ancora nelle librerie. Per le altre, rien ne va plus.
http://www.lettera43.it/articolo/2747/la-graphic-novel-censurata-in-egitto.htm
martedì 4 maggio 2010
Per Mubarak niente discorso del Primo maggio
Quest'anno, niente tradizionale discorso alla nazione in occasione del Primo maggio.
Il presidente della Repubblica egiziana Hosni Mubarak, rientrato in patria a fine marzo dopo un'operazione alla cistifellea affrontata in Germania, non é apparso in pubblico, come suo solito, in occasione della Festa dei lavoratori. Il suo staff, preoccupato per la salute e l'immagine del rais, non ha voluto che parlasse ai circa 80 milioni di concittadini neanche da seduto. Forse, devono aver pensato i consiglieri di Mubarak, piuttosto di apparire stanco e provato, meglio non comparire.
Eppure il presidente, a quanto ribadiscono i portavoce presidenziali, é tornato al lavoro e, in particolare, ieri ha ricevuto a colloquio il premier israeliano Benjamin Netanayahu a Sharm El Sheikh, dove la diplomazia egiziana ha dislocato ormai parte delle attività di politica estera. Hosni Mubarak vi risiede da fine marzo.
L'assenza dalla scena pubblica del presidente 82enne non fa che aumentare le illazioni intorno alle sue condizioni di salute e, di conseguenza, al futuro politico del paese, in vista delle elezioni presidenziali del 2011.
Il presidente della Repubblica egiziana Hosni Mubarak, rientrato in patria a fine marzo dopo un'operazione alla cistifellea affrontata in Germania, non é apparso in pubblico, come suo solito, in occasione della Festa dei lavoratori. Il suo staff, preoccupato per la salute e l'immagine del rais, non ha voluto che parlasse ai circa 80 milioni di concittadini neanche da seduto. Forse, devono aver pensato i consiglieri di Mubarak, piuttosto di apparire stanco e provato, meglio non comparire.
Eppure il presidente, a quanto ribadiscono i portavoce presidenziali, é tornato al lavoro e, in particolare, ieri ha ricevuto a colloquio il premier israeliano Benjamin Netanayahu a Sharm El Sheikh, dove la diplomazia egiziana ha dislocato ormai parte delle attività di politica estera. Hosni Mubarak vi risiede da fine marzo.
L'assenza dalla scena pubblica del presidente 82enne non fa che aumentare le illazioni intorno alle sue condizioni di salute e, di conseguenza, al futuro politico del paese, in vista delle elezioni presidenziali del 2011.
martedì 6 aprile 2010
Cresce la candidatura di Mohammed El Baradei
Guadagna terreno e sostenitori la candidatura - benché non ancora ufficiale - di Mohammed El Baradei alle prossime elezioni presidenziali egiziane, previste per il 2011.
Il premio Nobel (2005) per la pace ed ex numero uno dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha dichiarato, alla fine del 2009, di essere disponibile a candidarsi alla presidenza - nelle mani di Hosni Mubarak dal 1981 - solo nel caso in cui le elezioni siano corrette e trasparenti.
Da allora, le sue visite in Egitto si sono fatte via via più frequenti e pubbliche. L'ultima nella città di Mansoura, dove centinaia di cittadini lo hanno accolto, al termine della preghiera nella locale moschea, con slogan di sostegno. Fino ad ora El Baradei si era limitato ad incontri nella capitale.
El Baradei ha fondato all'inizio dell'anno il Movimento per il cambiamento, raccogliendo intorno alla propria figura membri dell'opposizione laica e religiosa al regime di Mubarak, e semplici attivisti per la difesa dei diritti umani.
Classe 1942, il diplomatico egiziano non fa parte di nessun partito, dettaglio di non poco conto visto che, secondo gli emendamenti costituzionali apportati due anni fa, un candidato presidenziale deve far parte della leadership di un partito - legittimato da un comitato governativo - da almeno cinque anni.
Indiretti i riconoscimenti al suo ruolo politico da parte della Chiesa Copta, che lo ha invitato a partecipare alla messa pasquale, e della Fratellanza musulmana, attraverso alcuni membri presenti (e festanti) a Mansoura.
Il premio Nobel (2005) per la pace ed ex numero uno dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha dichiarato, alla fine del 2009, di essere disponibile a candidarsi alla presidenza - nelle mani di Hosni Mubarak dal 1981 - solo nel caso in cui le elezioni siano corrette e trasparenti.
Da allora, le sue visite in Egitto si sono fatte via via più frequenti e pubbliche. L'ultima nella città di Mansoura, dove centinaia di cittadini lo hanno accolto, al termine della preghiera nella locale moschea, con slogan di sostegno. Fino ad ora El Baradei si era limitato ad incontri nella capitale.
El Baradei ha fondato all'inizio dell'anno il Movimento per il cambiamento, raccogliendo intorno alla propria figura membri dell'opposizione laica e religiosa al regime di Mubarak, e semplici attivisti per la difesa dei diritti umani.
Classe 1942, il diplomatico egiziano non fa parte di nessun partito, dettaglio di non poco conto visto che, secondo gli emendamenti costituzionali apportati due anni fa, un candidato presidenziale deve far parte della leadership di un partito - legittimato da un comitato governativo - da almeno cinque anni.
Indiretti i riconoscimenti al suo ruolo politico da parte della Chiesa Copta, che lo ha invitato a partecipare alla messa pasquale, e della Fratellanza musulmana, attraverso alcuni membri presenti (e festanti) a Mansoura.
mercoledì 31 marzo 2010
Elezioni a rischio in Sudan
Come temuto da più parti, rischiano di sfociare in un fallimento le prime elezioni (presidenziali e parlamentari) da 24 anni a questa parte, previste, almeno sulla carta, per la seconda settimana di aprile (11-13).
Bocciata categoricamente la richiesta delle opposizioni di rimandarle a tempo indeterminato per garantirne correttezza e trasparenza, il presidente in carica Omar Hassan Al Bashir, leader del Partito del congresso nazionale (Ncp), accusa come suo solito nemici esterni di fomentare l’instabilità sul territorio e si dice deciso a procedere con le elezioni a tutti i costi, “in difesa dei diritti dei sudanesi”.
Al Bashir, accusato e riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità e crimini di guerra dalla Corte penale internazionale (Cpi) – ma non di genocidio - nel luglio 2008, minaccia i suoi avversari di non permettere il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan, fissato per il gennaio del 2011. L’autonomia della vasta area meridionale (circa 8 milioni di abitanti), a maggioranza cristiano-animista, è un passo fondamentale nella realizzazione dell’Accordo di pace comprensivo (2005), ancora lungi dall’essere applicato.
Stando così le cose, la partecipazione dei cittadini alle votazioni, specialmente in zone disagiate e segnate dai combattimenti fra forze governative e ribelli come nel Darfur, è pressoché impossibile. In tali condizioni, prevedono gli osservatori internazionali, fra cui 130 inviati dall’Unione europea, sarà il partito di maggioranza, l’Ncp, a trionfare ancora una volta.
L’indipendenza del Sud Sudan e la pace in Darfur in cambio della conferma alla guida del paese? Difeso dalla Lega Araba, dall’Unione Africana e dall’Organizzazione dei paesi islamici, dietro le quinte è probabile che Omar Al Bashir sia stato spinto dagli alleati più vicini a riprendere il percorso del processo di pace chiudendo i fronti interni ed esterni. Al momento, la stabilità nazionale sembra però ancora un’utopia.
Bocciata categoricamente la richiesta delle opposizioni di rimandarle a tempo indeterminato per garantirne correttezza e trasparenza, il presidente in carica Omar Hassan Al Bashir, leader del Partito del congresso nazionale (Ncp), accusa come suo solito nemici esterni di fomentare l’instabilità sul territorio e si dice deciso a procedere con le elezioni a tutti i costi, “in difesa dei diritti dei sudanesi”.
Al Bashir, accusato e riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità e crimini di guerra dalla Corte penale internazionale (Cpi) – ma non di genocidio - nel luglio 2008, minaccia i suoi avversari di non permettere il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan, fissato per il gennaio del 2011. L’autonomia della vasta area meridionale (circa 8 milioni di abitanti), a maggioranza cristiano-animista, è un passo fondamentale nella realizzazione dell’Accordo di pace comprensivo (2005), ancora lungi dall’essere applicato.
Stando così le cose, la partecipazione dei cittadini alle votazioni, specialmente in zone disagiate e segnate dai combattimenti fra forze governative e ribelli come nel Darfur, è pressoché impossibile. In tali condizioni, prevedono gli osservatori internazionali, fra cui 130 inviati dall’Unione europea, sarà il partito di maggioranza, l’Ncp, a trionfare ancora una volta.
L’indipendenza del Sud Sudan e la pace in Darfur in cambio della conferma alla guida del paese? Difeso dalla Lega Araba, dall’Unione Africana e dall’Organizzazione dei paesi islamici, dietro le quinte è probabile che Omar Al Bashir sia stato spinto dagli alleati più vicini a riprendere il percorso del processo di pace chiudendo i fronti interni ed esterni. Al momento, la stabilità nazionale sembra però ancora un’utopia.
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