martedì 27 novembre 2007

Pozzo nero

In Egitto da sette anni, sempre da clandestino. Lavori temporanei, anche all'Università americana e in qualche organizzazione non governativa. Insegnante di inglese, interprete, mediatore culturale.

"Più di dieci arresti nei primi tre anni - racconta Mohammed, sudanese di neanche 30 anni - ogni volta, i poliziotti egiziani mi toglievano tutti i soldi, mi tenevano dentro per una decina di giorni, mi buttavano fuori pieno di lividi".
Poi più niente. Forse Mohammed ha perso l'aria da nuovo arrivato, forse ha ormai l'accento egiziano.

Ma di certo c'è che ha una tristezza infinita negli occhi, un velo che scende su tutto quello che racconta: la fuga dalle Nuba Mountains alla capitale Khartoum, la persecuzione in patria e quella in Egitto.
Poi, la malinconia diventa pozzo nero quando ripercorre gli ultimi giorni del 2005: allora, un sit-in di migliaia di profughi sudanesi, durato tre mesi di fronte alla sede dell'Unhcr al Cairo, terminò nel sangue. 28 morti, schiacciati dalla folla che scappava dai manganelli delle forze di sicurezza egiziane. Cifra ufficiale, poi chissà.

"Da allora - dice Mohammed - non desidero più avere un visto egiziano. Mi va bene così. In questo paese voglio essere invisibile".

venerdì 16 novembre 2007

Pittori sconosciuti

Si avvitano sinuose verso l’alto, genii di lampade invisibili, spiriti vivaci e miti. Le donne sudanesi di Adam Hinawi si nascondono in mezzo alle cianfrusaglie di un mercatino universitario, in un mattino di novembre, in mezzo a studenti distratti da collane e cineserie.
Le ‘mie’ donne darfuriane escono dalla tela ruvida, si sistemano le lunghe tuniche stropicciate dal pennello dell’artista, si incrociano lungo i sentieri del dipinto. Una forse sorride all’uomo in djellaba bianca che mi dà le spalle.
L’altra prosegue verso il suq coperto.
Vanno veloci, lo sguardo basso, ancora un attimo e spariranno di nuovo, lasciando dietro di loro solo un alone di colori ad olio, nere ombre incrostate di sole.

mercoledì 7 novembre 2007

Il re è nudo

Non torna più, ormai non può più tornare. Lo pensano tutti. E' andato troppo in là, ha detto cose che fino ad ora nessuno ha osato gridare ai quattro venti. Al programma radiofonico Democracy Now, negli Stati Uniti, Saad Eddin Ibrahim non ha usato nessuna precauzione: a che cosa gli servirebbe, dato che contro di lui è pronto al Cairo l'ennesimo processo per tradimento contro il suo paese?

E così ha giocato il tutto per tutto parlando anche di una "squadra" dei servizi di sicurezza egiziani che porta la morte, colpisce per ordine della presidenza e non lascia tracce. E ha ricordato il giornalista Reda Hilal, svanito nel nulla nella notte dell'11 agosto del 2003. Anche lui aveva esagerato: aveva parlato male del Faraone, anche con pettegolezzi sulla vita privata del figlio. Troppo davvero.

Si sarà fatto due conti, Ibrahim, lui che è già passato sotto le grinfie di giudici, polizia e servizi segreti. Ed è l'anima dell'opposizione laica egiziana, sociologo e strenuo difensore della democrazia. Un rientro in Egitto sarebbe un suicidio: per lui è pronta una botola già aperta. Ora come sette anni fa, rimane in piedi la sua mirabile definizione dei regimi arabi, spietate "Gomlukìe", monarchie truccate da repubbliche.

venerdì 2 novembre 2007

Pronto chi parla

S. ha 35 anni, il viso paffuto da bambina e uno sguardo diretto che non tradisce esitazioni. La aspetto per più di un’ora in un caffè del centro città, chiedendomi chi arriverà all’appuntamento.
La sua telefonata, nel cuore della notte 12 ore fa, mi ha lasciato perplessa.
“Ho avuto il tuo numero da uno dei miei studenti, è per il tuo reportage, ho delle cose da raccontarti”. Mi convince la sua voce, pulita, e il desiderio di incontrare una donna politicamente attiva.
Ce ne sono tante in Egitto, ma alla fine con i giornalisti parlano gli uomini. Per pudore, abitudine a rimanere dietro le quinte… o protagonismo dei loro compagni.

Mi racconta il clima di tensione e violenza in cui si sono svolte le elezioni per i sindacati degli studenti. Insegna all’Università di Ain Shams, dove “anche l’anno scorso i ragazzi sono stati picchiati da poliziotti in borghese”.
Nessuno lo dice o non abbastanza forte, ma in questo momento “quindici studenti sono ricoverati all’ospedale per le percosse subite”.
Non c’è distinzione, sono ragazzi di diversi partiti, ovviamente dell’opposizione: Fratelli musulmani, Al Ghad, Tagammu, Partito democratico. Hanno esibito striscioni e ripetuto slogan per l’indipendenza dell’istruzione. Non hanno potuto candidarsi.

S. non ha paura, anche se tutti sanno fra i suoi colleghi che è una militante politica. “Non cerco di convincere gli studenti, li invito solo a interessarsi a quello che succede nel paese, a leggere i giornali liberi, la costituzione. Provo a suscitare un po’ di spirito civico”.
Ma le pressioni ci sono. “All’inizio sembravano i consigli di persone amiche. Poi mi sono accorta che erano tutti uguali, stesso linguaggio, stessa struttura del discorso”. E tutto è risultato chiaro: la “sicurezza”, o meglio i mukhabarat (servizi segreti), sono ovunque.
Lei sorride, serena. “La mia famiglia non fa politica – commenta – ma da noi si è sempre parlato di democrazia”.
Poi conclude: “Voglio che il mio paese sia libero e indipendente. Come me”.

mercoledì 17 ottobre 2007

Fantasmi neri

Un seminario come tanti all’Università americana del Cairo. E’ di scena l’immigrazione illegale nel mondo, con tutti i suoi risvolti economici. La star della serata è una sofisticata docente statunitense, longilinea come i suoi antenati – probabilmente centro-africani – ma di pelle nocciola. Preparata e puntuale nel seguire la sua scaletta, lascia spazio alle precisazioni degli esperti in sala. Tripudio di globalizzazioni, macrosistemi economici, strategie e progetti.
Poi, quando manca poco al ‘rompete le righe’… Zzzzac. Una freccia attraversa l’aria e colpisce nel segno. In un attimo, scompaiono teorie e trattati, modelli e ipotesi.

“I rimpatriati in Egitto, i sudanesi e i ghanesi cacciati indietro da Israele, sono ancora immigrati illegali o il loro status cambia?”. Niente giri di parole, dritto al cuore. A pronunciare la domanda è uno studente sudanese, in piedi fra tanti compagni, il microfono stretto in mano come un’ancora di salvataggio.
Il suo non è un dubbio teorico, un esercizio di fine intelletto. Chiede informazioni per la sua famiglia, per i suoi amici, per la sua gente, per tutti gli aspiranti rifugiati, in fuga dall’Africa subsahariana, che stanno cercando da mesi – anche ora, in questo momento – di entrare in Israele clandestinamente. E se questo vuol dire, pur fallendo l’impresa, ottenere un riconoscimento dal Cairo, vale la pena di farsi sparare addosso alle frontiere del Sinai. E’ questo che pensa, ce l’ha scritto in fronte.

Una professoressa più anziana capisce al volo e mette fine al sogno, prima che generi illusioni e tragedie: “Lo so, ci sono voci in tal senso. Ma vi devo deludere, niente accordi in vista fra i due paesi, nessun permesso di soggiorno per i rimpatriati. Ditelo ai vostri cari”.
La bella oratrice invece non parla. Guarda smarrita gli studenti, vive al Cairo da due anni ma ammette di non conoscere la legislazione egiziana in tal senso.
Cioè: insegna al Dipartimento di Legge, si occupa di immigrazione internazionale… E in 24 mesi non ha ritenuto di suo interesse capire come vivono 300.000 – come minimo, ma fonti non ufficiali dicono anche un milione – ‘fantasmi sudanesi’. Per non parlare di eritrei, etiopi, ghanesi, ecc.

In attesa della tessera da rifugiato, concessa dall’Unhcr solo in casi ben documentati, il profugo è invisibile in Egitto: niente carta d’identità, quindi niente lavoro, scuola, assistenza sanitaria. Non torna indietro e non può partire per un paese terzo. Non lo vuole nessuno, soprattutto se malato.

E se non fosse così nero, sarebbe meglio, che risalta troppo nonostante lo smog.

mercoledì 10 ottobre 2007

Cartoline di festa

Ramadan, -2. Il tempo privilegiato delle esplorazioni sta per scadere, via di corsa a immortalare attimi irripetibili di vita egiziana, sempre in bilico fra sacro e profano. In sequenza, così come si presentano a chi esce dalla moschea di Ibn Tulun e si dirige verso il quartiere di Darb El Ahmar poco prima dell’iftar: mucchi di ossa di fronte alla bottega di un macellaio, la ricca varietà di wc di un negozio di sanitari, il maquillage di un pneumatico a suon di martellate (letteralmente), l’ingresso di una vecchia piccola moschea nascosta dagli alberi.

Troppo smog, troppo rumore nel girone infernale di Attaba, dove anelli di pseudo-tangenziali si intrecciano sopra la testa dei passanti. Passa il taxista barbuto, i nervi a fior di pelle per l’astinenza da sigaretta, e batte ogni record temporale nel coprire la distanza fino al mercato di Khan El Khalili. Lì, come da copione, tavolata di pani e zuppe, desiderata con ardore da anziani, donne e bambini di stracci. Poco più avanti cascate di babbucce di pelle, da indossare a casa quando il caldo di un'estate ancora troppo presente sarà finalmente evaporato.

lunedì 1 ottobre 2007

Libertà di stampa sotto processo

Un giudice che parla sottovoce, la fascia rossa a fargli da scudo. E tutt’intorno ufficiali di polizia panciuti, schermati da occhiali Ray-Ban, irrequieti e arroganti, intenti a osservare i numerosi avvocati della difesa, gli attivisti delle organizzazioni umanitarie, la stampa nazionale ed estera.
Chi non sente si arrampica sui banchi, si appoggia ai vicini, tende l’orecchio e commenta ad alta voce.
Tutto è permesso, almeno in apparenza, in un gioco fra deboli e forti in cui i ruoli si scambiano all’infinito. Perché quelli in uniforme sono i più spaventati, così chiamano altri fantocci della sicurezza – gli agenti ‘segreti’ in completo marrone, gli scagnozzi in borghese, invece, in jeans e camicia giallo-beige – e ordinano loro di fare un altro giro dei presenti e segnarne ancora i nomi.
Gli stranieri sono sempre quelli, dall'inizio alla fine, ma è meglio controllare. Identità, motivazioni, tecnologia al seguito.
Un taccuino a quadretti, una macchina fotografica e un passaporto europeo fanno più paura delle armi, da queste parti.
E’ bene ricordarlo quando i lunghi corridoi del tribunale del Cairo, le piccole porte laterali e la gabbia arrugginita degli imputati chiudono lo stomaco e tolgono il respiro.
Meglio non finire sotto processo, in Egitto.

martedì 25 settembre 2007

Ramadan in fabbrica

Ramadan di lotta e rivendicazioni per 27.000 operai del comparto tessile impiegati nella fabbrica di Ghazal Al Mahalla, nel Delta del Nilo, a 150 chilometri dal Cairo. Accampati da tre giorni, i manifestanti condividono preghiera, digiuno e pasti notturni, nell'attesa che le autorità accettino il confronto e ascoltino le loro richieste.
Chiedono alcune decine di euro in più al mese (un euro equivale a circa 8 lire egiziane), un sindacato che li rappresenti davvero - e non sia formato da figuri asserviti al potere - un vertice aziendale più competente e serio.
Non è la prima volta che scendono in strada: da dicembre a questa parte hanno alzato la voce più volte, ottenendo promesse mai mantenute.
Ma il costo della vita, quello sì, cresce con costanza. Ancora di più durante il mese santo, sull'onda di festeggiamenti e banchetti in famiglia e con gli amici. Ovviamente, non per tutte le tasche.
Le speranze di essere ascoltati sono poche, eppure le recenti ondate di scioperi - anche in altri settori industriali - e l'audacia della stampa indipendente sembrano indicare che qualcosa sta cambiando.
C'è chi invece teme ripercussioni e rappresaglie al termine delle festività religiose, a metà ottobre.
Per ora la lanterna del Ramadan deve brillare senza incertezze. Per le ombre c'è sempre tempo.

martedì 18 settembre 2007

Sotto la vernice

Violenza e discriminazione nei confronti delle donne si intrecciano alla politica. Accade in Egitto, dove il crimine di ‘attentato contro l’immagine del paese’ è diventato ormai un jolly per tutte le stagioni. Nel mirino il dissenso, in qualsiasi forma. Ecco l’ultimo caso in ordine cronologico.

Un’insegnante universitaria viene violentata da sconosciuti mentre rientra a casa dal lavoro. Decide di sporgere denuncia e si ritrova ad affrontare la riprovazione della società maschilista in cui vive, quella egiziana appunto. Di nuovo vittima, sola contro tutti.
Questo in sintesi l’intreccio dello sceneggiato più ‘scandaloso’ della nuova stagione televisiva, terrestre per gli egiziani, satellitare per Dubai e il resto del mondo arabo, in onda da giovedì scorso, primo giorno di Ramadan.

Che il musalsal (sceneggiato) ‘Qadiyet raï aam’ (letteralmente, ‘Un processo di opinione pubblica’) avrebbe ravvivato i talk show autunnali e spaccato le famiglie musulmane, riunite al tramonto dopo le giornate di digiuno per il Ramadan, già si sapeva. L’attesa, montata dai mezzi di comunicazione, era forte. Ma che dopo neanche una settimana di messa in onda si accusasse il programma di macchiare l'onore nazionale è inquietante.

La verità è che violenza e molestie contro le donne sono una realtà in aumento vertiginoso in Egitto, dove le organizzazioni per la difesa dei diritti delle donne lanciano l’allarme da anni.
Non c’è velo o abbigliamento casto che protegga. Ad essere importunate, nel migliore dei casi, sono proprio le egiziane, non le turiste, e le aggressioni hanno luogo al lavoro, a scuola, nei negozi, per strada. Per non parlare delle violenze in famiglia.
Nei panel delle ong il 40% delle intervistate lo dice apertamente: in Egitto, la vita sta diventando insopportabile per una donna.

La congiuntura economica più aspra del solito, l’islamizzazione progressiva della società, l’irrigidimento del regime militare sono le concause individuate dai sociologi. E gli anelli più deboli – come sempre donne e bambini, ovunque nel mondo – sono i primi a pagarne il prezzo.
Ma non si può dire, a maggior ragione quando la fiction in questione varca le porte di casa e si diffonde in tutto il mondo arabo. Finisce per dare un’idea sbagliata dell’Egitto, tuonano dal Council for Women’ Rights – ma proprio loro?! – e ledere l’immagine del paese.

L’immagine, la vernice, La carta da pacchi. Quanto alla sostanza malesh, non è importante.

lunedì 10 settembre 2007

Luna nuova

Forti e limpidi, i richiami dei muezzin alla preghiera risuonano più a lungo in queste ore di vigilia di Ramadan. Gli esperti non si sono ancora pronunciati definitivamente sul dove e quando: è probabile che anche quest’anno il mese sacro dell’Islam, da dedicare alla purificazione di anima e corpo, arriverà all’improvviso, quasi di sottecchi.
Tutti lo aspettano: c’è chi vorrebbe affidarsi alla luna nuova saudita, perché là tutto ha avuto inizio e si rinnova. Per altri, i paesi che condividono almeno in parte la notte dovrebbero iniziare il digiuno insieme. Altri ancora fanno riferimento alla propria luna ‘nazionale’.
Nel Nord America, la nuova luna sorgerà domani sera, ma non sarà visibile prima di 24 ore. In Arabia Saudita illuminerà il cielo mercoledì.

Una sola certezza: nei paesi a maggioranza musulmana, il Ramadan travolgerà i ritmi quotidiani di credenti e non, invertendo il sonno e la veglia.

Il giorno avrà gli occhi socchiusi degli studenti a scuola, dei bauab (i portinai) addormentati sull’ultimo gradino delle case, dei vigili urbani, in piedi in mezzo al traffico solo per miracolo.

La notte terrà gli occhi spalancati sulle tavole imbandite dell’iftar, il pasto che pone fine al digiuno in corrispondenza del tramonto, e del sohour, poco prima del sorgere del sole.

Nel cuore della giornata, sporadici segni di attività lavorativa saranno avvistabili solo dalle 11 alle 15. Poi, nastri infiniti di automobili riporteranno a casa milioni di persone giusto in tempo per rompere il digiuno in famiglia. Almeno nei primi giorni di Ramadan. Poi, sarà la volta delle case degli amici e infine dei ristoranti.

Ma la notte nessuno si sognerà di dormire. Troppo da dire, commentare, vedere, comprare.

E così, al Cairo le giovani coppie di fidanzati compreranno le fedi matrimoniali alle 4 di mattina, nella gioielleria di fiducia di Zamalek.
Il Carrefour di Maadi sarà preso d’assalto fino all’alba, così come i negozi di elettrodomestici di Attaba.

Per un mese, i disperati senza quartiere si appisoleranno con il ventre sazio e le mandibole rilassate. Perché qualcuno più ricco e grasso avrà organizzato per loro lunghe tavolate misericordiose, cariche di pane, zuppa e carne.

Notte dopo notte, per far tacere la coscienza e acquistare un pezzo di paradiso.

venerdì 7 settembre 2007

Il dolce e il salato

La mia amica L. è appena tornata in Egitto dopo una vacanza studio in Italia. In realtà, poco studio e un’intensa attività di esplorazione dello Stivale, sola o accompagnata da amici, per lo più autoctoni conosciuti in chat.
Trottola inesauribile, forte di una severa organizzazione del tempo elaborata nell’attesa del visto, ha messo il naso un po’ ovunque, dalla Toscana alla Sicilia, dal Veneto all’Umbria, passando più volte per Roma. In un mese.

Ed è tornata con osservazioni curiose e doni sorprendenti. Ecco i cadeaux che mi ha riservato, con relativa (mia) riflessione: da Trevi una bottiglietta di olio di oliva extravergine da 100 ml - immagino coraggiosamente trasportata in valigia, insieme ad altre gemelle per amici e familiari - di un color verde che emoziona, soprattutto gli espatriati.

Come non essere fieri della mia amica, la cui educazione alimentare anglo-egiziana abbonda di shawerma e ketchup, hommos e cheese cake, in grado ora di riconoscere e apprezzare la spremitura a freddo delle olive?

E poi eccomi servita di acqua di colonia Fiore d’arancio di Zagara di Sicilia. Un altro flaconcino da 100 ml. E meno male che non si è sognata di trasportare il pregiato liquido nel bagaglio a mano, se no l’etichetta di terrorista non gliela toglieva nessuno.

Seconda riflessione: al solo pensiero di rientrare nella traspirante Cairo, la mia amica deve aver pensato a come riprendere i sensi in caso di mancamento. Soluzione trovata mentre si aggirava incantata per la Sicilia, definita “come l’Egitto, ma più pulita”.

Aroma terapia completata, l’itinerario donatomi prosegue con un elegante taccuino, perché “dopo il relax è il momento di scrivere”. Dalla copertina, su cui campeggia il mio nome, Trinità dei Monti sorride al tramonto.

Infine, una confezione mini di balsamo energetico per le tempie della Lush (prima o poi deluderò L. rivelandole che in quel barattolino, peraltro gradito, c’è poco di italiano).

E poi via con il racconto di tutte le sagre e le feste patronali in cui è gioiosamente incappata, lumache comprese. E pensieri vaganti meritevoli di essere riportati…

Perché in Italia c’è chi si riunisce per festeggiare una qualità di cipolle? I bolognesi sono chiusi e un po’ distanti (inutile spiegarle che anche a noi italiani capita di essere presi per venditori ambulanti se solo ci azzardiamo a chiedere l’ora a un passante). Venezia è “surreale” e le isole sconvolgenti per la varietà di colori delle casette di Murano e Burano (meglio rimandare una visita alle Cinque Terre per evitare lo shock cromatico). Ferrara bella, ma un po’ tiranna, con “quest’idea” di circolare a piedi o in bicicletta (movimento, questo sconosciuto per 20 milioni di cairoti). Perché gli umbri non vivono tutti negli agriturismo? Dopo aver provato la mozzarella di bufala il resto è plastica. Viva la chiusura dei negozi alle 19:30, così la gente non pensa solo a lavorare (però le cucine dei ristoranti chiuse alle 22 non le vanno proprio giù). Nel centro Italia piove davvero. I trasporti italiani sono tutti puntuali (detto da un’egiziana vale?). Non è bello essere continuamente fissati da sconosciuti (a chi lo dici..). Alcune fontane neo-classiche sono porno. L’acqua di Roma è buonisssssima (ma no, quella del Nilo è meglio!!??). Mai visti così tanti cani e così pochi bambini.

… così come episodi da copione per una giovane egiziana musulmana: a Orvieto, dal terrazzo di una casa una signora le urla di togliersi il velo, “che fa caldo”. A Bavegna, dove acquista qualche souvenir da una bancarella dei Frati Francescani, la commessa si congratula con lei per la sua “tolleranza”. E poi stupore generalizzato per una ‘turista per caso’ con l’hijab, il foulard che copre la testa, ma non il volto, in vacanza da sola, libera e indipendente.

Ma nel complesso, nessun episodio sgradevole e persino l’abbraccio di una palermitana che la trova “simpatica”.

Ed ora, finiti i festeggiamenti, da lontano sento la Domanda con la D maiuscola fare ombra al sole e giungere sulla mia testa a mo’ di condor: “Ma voi siete pazzi – quasi grida L. – perché con un paese così ve ne andate in giro?”. Fermi tutti, la risposta richiede tempo, adesso ci penso. L. se la dà da sola, e forse è meglio: “Per sentire il dolce, occorre sempre assaggiare il salato”. Saggezza araba.

mercoledì 5 settembre 2007

Mummie di oggi

Più in forma che mai. Fresco, pieno di energia, attivo. E pensare che c'è chi lo dava per moribondo, anzi già trapassato, forse attribuendogli un po' del proprio malessere estivo. Non è forse in questa stagione, quando l'aria è soffocante e la notte non porta sollievo, che anziani e bambini soffrono di più? Sì, ma c'è anziano e anziano.

Maligni scribacchini dell'opposizione, sempre pronti a 'gufare' se solo ci si prende una pausa. Avrà ben diritto, il presidente egiziano Hosni Mubarak, a una vacanza ogni tanto in oltre 25 anni di onorato servizio. Per poi tornare con più entusiasmo alla solita routine di ogni 79enne capo di Stato.

E invece no. Eccolo obbligato, in meno di 48 ore, ad una epifania di messaggi alla nazione, interviste, apparizioni pubbliche, incontri diplomatici con i grandi della terra per smentire le voci che da una settimana lo davano per defunto.

Certo, i dubbi rimangono. Se non sul suo decesso, quanto meno sulla sua 'normalità'. Mentre ai suoi concittadini, ai turisti e ad ogni creatura vivente in questa estate egiziana risulta penoso qualsiasi sforzo dall'alba al calare del sole, lui discute di politica estera e pace in Medio oriente, di questione palestinese e situazione irachena. Roba da sudare freddo anche sul Plateau Rosa.

Ma l'Egitto è il paese delle mummie, dell'arte dell'imbalsamazione, dei venti del deserto, che tutto incipriano di talco e paralizzano. E il tempo, sconfitto, ha fatto fagotto.