sabato 10 novembre 2012

Presto la campagna del Mali?

Il Mali come l'Afghanistan o la Somalia, devastato dalla furia islamista radicale, dalle divisioni tribali, dall'assenza di un controllo centrale. 
Secondo indiscrezioni diplomatiche, ormai è questione di settimane e una missione militare internazionale tenterà di dare a Bamako quel sostegno logistico indispensabile per riprendere la sovranità territoriale, persa ormai da un biennio.
Diverse le piste battute in queste ore: si cerca di instaurare un dialogo con i gruppi laici fra i Tuareg del Nord, disponibili a distanziarsi dagli islamisti. Di convincere il fragile esecutivo a indire elezioni. Di consolidare le posizioni degli Stati africani occidentali, prima ancora che raggiungere una comunione di intenti in seno all'Unione africana.
Il dialogo è la strada privilegiata dall'amministrazione Obama, ora libera di occuparsi di nuovo del continente africano.
Ma si moltiplicano le voci di progetti bellicosi di Parigi, che ha ancora tanti - troppi - interessi nelle ex colonie. Un intervento francese nel quadrante sub-sahariano, si sa, sarebbe mal digerito da Algeria e Marocco. Meglio una missione africana, come in Somalia, appoggiata da Onu e Ue.
Nel frattempo, Strasburgo ha dato il la, in agosto, a Eucap Sahel Niger, iniziativa tesa a sostenere Niamey nella lotta al terrorismo: durata 2 anni, finanziamento 8,7 milioni di euro, basi distaccate a Bamako (Mali), appunto, e Nouakchott (Mauritania).
Chissà che per una volta, consapevole del rischio polveriera in Mali, Bruxelles non si muova prima di tutti.



mercoledì 7 novembre 2012

Vince Tawadros

La chiesa copta ortodossa ha una nuova guida. Anba Tawadros, attuale arcivescovo di Beheira, è il 118esimo “papa di Alessandria, patriarca di san Marco, capo della chiesa copta ortodossa in Egitto e all'estero”

Come vuole la tradizione, il cartoncino con il nome del successore di Shenuda III, mancato all'età di 88 anni lo scorso 17 marzo, è stato estratto a sorte dalla mano di un bambino bendato (a sua volta scelto fra ottanta volontari giunti da tutto l'Egitto) nel corso di una solenne cerimonia religiosa nella cattedrale di San Marco, al Cairo. Nell'apposita urna di cristallo c'erano anche i nominativi di Anba Rafael e Abouna Rafael Ava Mina, rimasti in corsa dopo il voto del 29 ottobre, che aveva già eliminato altri due illustri candidati. 

Poi, la mano di un bimbo di 6 anni ha segnato il destino del prelato, nato Waqih Sobhi Bakky Suleiman, proprio nel giorno del suo 60esimo compleanno. E lo ha scelto per un compito più che mai impegnativo nell'Egitto post-Mubarak dominato dalla Fratellanza musulmana: guidare la minoranza copta in tempi di forti discriminazioni sociali e politiche, di incertezza e instabilità. 

Ma Tawadros (Teodoro), nato nella città di Mansura, laureato in farmacia, operaio in fabbrica fino al 1988 e poi monaco nel Wadi Natrun, non teme le differenze religiose e guarda al futuro. Così i media egiziani lo hanno descritto nei giorni precedenti la cerimonia. 

 Al quotidiano cattolico La croix, che lo ha intervistato appena eletto, ha spiegato: “La mia priorità sarà confermare il ruolo spirituale della chiesa. Abbiamo due ruoli, uno spirituale e l'altro sociale. Oggi la Chiesa li esercita entrambi, ma le circostanze hanno creato confusione, e voglio fare chiarezza”. Questo perché, mentre era papa Shenuda III, “la chiesa è stata costretta ad assumere un ruolo politico” per via delle discriminazioni che i copti subivano già sotto Mubarak. 

Un cambio di rotta netto, dunque, rispetto all'orientamento del predecessore, morbido nei confronti della presidenza di Hosni Mubarak, favorevole alla successione del figlio Gamal e, infine, lapidario nell'ordinare ai confratelli di non partecipare alla rivoluzione anti-regime. 

Due i messaggi alle autorità: nella nuova Costituzione in discussione (nell'Assemblea costituente, è maggioritaria la componente islamista), “sembra ormai acquisito che l'articolo 2 della Costituzione del 1971 sarà mantenuto così com'è con la sharia (la legge islamica) come fonte principale”; uno status quo che i copti ritengono accettabile, ma se i salafiti dovessero premere ancora per ottenere di più, “la chiesa si opporrà a questo schema e avrà per alleati i laici e i liberali”. 

La questione chiave per tutti gli egiziani, ha argomentato l'arcivescovo, è “il futuro dei giovani”, cristiani e musulmani insieme. Si stima che i cittadini cristiani copti rappresentino circa il 10 percento dei 90 milioni di egiziani. 

mercoledì 31 ottobre 2012

Stampa imbavagliata a Manama

Non smette di far discutere (all'estero) la sentenza di assoluzione piena per una poliziotta bahreinita accusata di aver torturato la corrispondente della tv satellitare France 24 Nazeeha Saeed.

Aggiornato e rinviato più volte, il processo è terminato come quelli condotti nel Paese arabo nell'ultimo biennio, tutti aventi per oggetto maltrattamenti, torture e, in tre casi, i decessi violenti di giornalisti, locali o stranieri.

A dimostrazione che il regime dell'emirato, nonostante le raccomandazioni del Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani, non ha nessuna intenzione di permettere agli organi di stampa di seguire le rivendicazioni della componente sciita della società (maggioritaria), represse con la forza.

E la situazione non accenna a migliorare. Nel solo mese di ottobre almeno quattro blogger bahreiniti, colpevoli di aver scritto su Twitter commenti sgraditi alla monarchia regnante, sono stati arrestati senza che familiari e avvocati fossero informati.

D'altronde, la repressione nei confronti della 'primavera bahreinita' non fa che crescere di intensità: l'ultima decisione delle autorità, il 30 ottobre, è stata quella di proibire qualsiasi manifestazione o assembramento.

Eppure, il giovane Sheikh Nasser bin Hamad al-Khalifa si recherà il primo novembre nella Striscia di Gaza per inaugurare due scuole patrocinate dall'agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unrwa) e finanziate dalla ricca casa regnante.


lunedì 29 ottobre 2012

La stella del deserto


Al Cairo non si dorme mai. E non soltanto perché effettivamente attività commerciali e punti di ritrovo rimangono aperti per gran parte della notte. A non mancare – rivela una classifica di NDJ World – è l'elettricità. Come dire, intorno è tutto deserto, ma quella distesa di cubi di cemento a cavallo del fiume Nilo è sempre on, come una stella. 
Non solo, è proprio la più luminosa delle prime grandi metropoli mondiali.

Una notizia che di questi tempi fa sospirare gli egiziani, visto che si profila all'orizzonte un piano regolatore sul consumo di energia elettrica che sforbicerà senza pietà gli sprechi. La dissestata economia del Paese nord-africano, infatti, necessita di interventi mirati per ripartire e il nuovo corso politico firmato dalla Fratellanza musulmana intende dimostrare di essere all'altezza della sfida.
Dall'estate in poi, inoltre, non si contano i black-out verificatisi in tutto il Paese.

Il progetto allo studio considera la chiusura forzata dei negozi alle 22, per la ristorazione invece si prevedono deroghe. Una tragedia per coloro che lavorano la notte, e sono tanti, per arrotondare un misero stipendio diurno. I detrattori dell'iniziativa governativa puntano il dito anche contro la criminalità in crescita: senza luce, che ne sarà di alcuni quartieri a rischio?

L'alternativa, urlata nei talk-show televisivi, è che un corretto sistema fiscale reperisca le risorse per ammodernare il comparto energetico. E illuminare adeguatamente la vita di 90 milioni di egiziani.

giovedì 26 aprile 2012

Rivoluzioni di serie B



Torna la violenza in Bahrein, piccolo emirato al largo della penisola arabica in cui una minoranza musulmana sunnita (30%) regna sulla maggioranza sciita. Lì, la primavera araba non ha dato alcun frutto democratico, ignorata dai media mediorientali, tutti finanziati da monarchie sunnite, e da quelli occidentali. 
La ragione è semplice: gli sciiti del Bahrein hanno dalla loro un amico che fa paura a molti, l'Iran degli ayatollah. E così, anche le aspirazioni più nobili, le stesse dei rivoluzionari tunisini ed egiziani, sono rimaste senza voce oppure sono state sminuite. 
Ora la grande occasione di farsi ascoltare, offerta dallo sport: con il Gran premio di Formula uno di oggi, in programma a Manama, i riflettori del mondo sono puntati sul piccolo arcipelago del Golfo persico. Da qui le manifestazioni contro l'appuntamento sportivo, percepito come offensivo in un frangente storico tanto complesso, e la rabbia scatenata contro le forze dell'ordine. Alla vigilia del Gp, dopo ore di scontri durissimi, il cadavere di un giovane uomo è stato ritrovato nel villaggio di Shakhura, a 30 km dalla capitale, nella zona in cui si è tenuta una manifestazione. 
Il decesso è stato confermato dal ministero dell'Interno sull'account ufficiale del social network Twitter: nessuna ricostruzione ufficiale di quanto accaduto è stata fornita. Impossibile, però, negare la gravità degli avvenimenti dopo che Internet è stata sovraffollata dalle immagini degli agenti del regno intenti a sparare lacrimogeni, getti d'acqua e, in alcuni casi, anche proiettili veri. 
Uno dei parenti della vittima, identificata come Saleh Abbas Habib, 37 anni, ha raccontato che l'uomo “aveva partecipato a una manifestazione di protesta”. Arrestato, “non è più tornato a casa”, ha riferito il familiare. Il suo corpo senza vita si trovava sul tetto di una casa. 
Le proteste in Bahrein, soffocate una prima volta un anno fa e poi più volte nel corso dell'anno anche grazie al sostegno logistico dell'Arabia saudita, non colgono di sorpresa: saputa la data dell'evento automobilistico, il movimento giovanile 14 Febbraio ha convocato sui social network quelli che sono stati chiamati i tre giorni della Rabbia. 
Ora si attende di capire se, come chiesto dalla principale forza di opposizione, al-Wefaq, tutta la settimana sarà consacrata alle proteste per piegare il sovrano Khalifa bin Salman Ali Khalifa a concedere alcune riforme. Ma il principe ereditario Salman bin Hamad al-Khalifa fa orecchio da mercante, sfoggiando un'indifferenza glaciale: “Credo sinceramente che questa corsa sia una buona opportunità, unisce molta gente di etnia e religione diversa”. 
Nel mentre gli agenti disperdevano migliaia di sudditi accalcati su una delle strade d'accesso al circuito. “Almeno tremila manifestanti con striscioni e slogan inneggianti a libertà, democrazia e dignità”, ha riferito l'inviato della tv satellitare al-Jazeera, che per mesi ha oscurato le rivendicazioni sciite. 
Nelle intenzioni del principe ereditario, che possiede i diritti della corsa mediante la propria società per l'organizzazione di grandi eventi, la corsa avrebbe dovuto fornire al mondo un'immagine rassicurante dell'emirato. Obiettivo fallito. 
Quanto alla riconciliazione nazionale, invocata dal sovrano Hamad, neanche a parlarne. Sheikh Isa Qassim, massimo leader religioso della shi'a in Bahrein, ha condannato duramente i regnanti sunniti per aver voluto un evento del genere mentre il Paese è tormentato da divisioni irrisolte. In un sermone infiammato ha denunciato la repressione, violenta “come se fossimo entrati in guerra”. 
Eppure finora la situazione non è stata, almeno ufficialmente, affrontata dalla Lega degli Stati arabi. 
Gli attivisti del Bahrein hanno poche chance di ottenere qualche riconoscimento: la posta in gioco nell'emirato va ben oltre le loro rivendicazioni. A Manama si scontrano, su scala ridotta ma comunque significativa, gli interessi delle due super potenze islamiche, Arabia saudita e Iran. 
Entrambe decise a guidare i Paesi musulmani e, soprattutto, a controllarne le riserve di idrocarburi. Dagli emirati passa l'assalto iraniano alla penisola arabica, per ora contenuto da Riad.

(Federica Zoja su Avvenire 22 Aprile 2012)