Il
“movimento sorto dal nulla”, così Tamarod (in italiano
Ribellione, ndr) è stato a più riprese etichettato dagli organi di
stampa, giunge oggi nelle piazze egiziane con il suo carico di
scontento nei confronti del presidente della Repubblica Mohamed Morsi
e del blocco di potere islamista - moderato e conservatore insieme –
che ha preso le redini della nazione un anno fa.
Dopo la
determinazione dimostrata dalla rivolta popolare del 2011, non
sorprendono più le immagini della folla decisa a fare sentire la
propria voce. Eppure l'effetto sorpresa di questa nuova fase della
Primavera egiziana c'è tutto, perché questa ribellione è altro
ancora.
Innanzitutto è più giovane, anagraficamente e
politicamente: a un nucleo di attivisti di lungo corso, nel ruolo di
coordinatori, fa da manovalanza un fiume di volontari, in maggioranza
sotto i 30 anni, che hanno trasformato un piccolo appartamento di
Wust al-Balad, il quartiere centrale del Cairo, nel cuore pulsante
della protesta popolare.
Poi, Tamarod non ha cercato il supporto dei
cosiddetti partiti di opposizione organizzati, non ha ambizioni per
le elezioni parlamentari del prossimo ottobre, non ha piattaforme
programmatiche. Dalle dichiarazioni rilasciate in questi giorni si
deduce che gli stessi fondatori non avrebbero mai potuto immaginare
un boom di adesioni simili: secondo gli ultimi conteggi, dal 28
aprile scorso, 22 milioni di egiziani hanno sottoscritto la petizione
per l'interruzione anticipata del mandato presidenziale (altrimenti
in essere fino al giugno 2016, ndr), scaricandola da internet e
firmandola con tutti i propri riferimenti.
Ha spiegato Ahmed Adel,
27enne di professione grafico, fra gli ideatori dell'iniziativa:
“Abbiamo iniziato a far circolare il foglio nelle strade del Cairo
e, nel giro di dieci giorni, avevamo già 2 milioni di firme”. Solo
a treno partito, gli emissari delle varie sigle rivali dei Fratelli
musulmani hanno cominciato a fare capolino, chiedendo: “In che modo
possiamo aiutarvi?”.
E pensare che i portavoce di Kefaya (Basta!),
movimento anti-Mubarak nato nel 2004, avevano annunciato a metà
maggio: “Tamarod non nasce sotto gli auspici di Kefaya”. Nelle
ricostruzioni giornalistiche di mezzo mondo, invece, è il volto di
Mohamed al-Baradei, del Fronte di salvezza nazionale, a dominare la
scena. Lui che, nei sondaggi nazionali, è noto solo a un egiziano su
quattro.
“Tamarod sta superando tutti i predecessori per
originalità, organizzazione e impeto”, ha scritto l'editorialista
Azmi Ashour sul quotidiano filo-governativo al-Ahram, individuando
nella “semplicità” l'asso nella manica della petizione, la prima
efficace nella storia del Paese. E poi, è vincente la
“trasversalità” della protesta, che “va là dove i politici
professionisti non possono andare”: in tutte le case, “senza
differenze di credo religioso”, né di classe sociale di
appartenenza, né di area geografica.
Con tutta “l'efficacia dei
social network”, utilizzati con una nuova consapevolezza: oggi in
piazza c'è Tahrir 2.0.. Infine, Tamarod fa appello “ai valori
essenziali di una nazione, condivisibili da tutti”, conclude
Ashour. Quindi, al di là delle analisi sociologiche, per dirla alla
maniera dei rivoltosi: l'uomo politico Morsi è “un fallimento in
tutti i sensi del termine.. inadatto ad amministrare un Paese delle
dimensioni dell'Egitto”.
(Federica Zoja per Avvenire, 28 giugno 2013)
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