venerdì 30 gennaio 2009

Radio Saut El Shaab al servizio della comunità gazawi

(Intervista del 27 gennaio, Gaza City) “All’inizio non capivamo che cosa stesse succedendo, dalle finestre della redazione vedevamo in tutte le direzioni aerei, fuoco, esplosioni”, racconta Bassem Abu Oun, direttore di Radio Voce del Popolo (Radio Saut El Shaab), emittente di riferimento del Fronte popolare di liberazione della Palestina, “ma indipendente, con un palinsesto che si rivolge a tutti gli abitanti della Striscia”, precisa Abu Oun. Radio Voce del Popolo rappresenta l’unica alternativa alle radio di Hamas (Al Aqsa) e Jihad (Al Quds).

Colti di sorpresa dall’intensità dell’operazione israeliana Piombo Fuso, i redattori di Radio Saut El Shaab hanno messo a punto un piano per coprire tutto il territorio, “con giornalisti presenti nella sede centrale 24 ore su 24, a turni, e altri in giro per la Striscia - racconta il direttore – Non è stato facile, alcuni dei miei ragazzi dormivano in redazione”.

In realtà, Radio Voce del Popolo non nasce con una vocazione ‘all news’, ma come un’emittente al servizio della comunità, “con un palinsesto vario, fatto di sport, cultura, sociale, e programmi mirati per donne e giovani, cosa che le altre radio non hanno mai fatto”. Questo era il progetto iniziale, ormai due anni e mezzo fa, e così è stato fino all’inizio dell’offensiva israeliana. “In tempi di guerra – commenta Oun – quando non ci sono altri punti di riferimento, una radio può e deve diventare il solo punto di riferimento per i civili e per i combattenti”.

Tutto intorno alla sede dell’emittente, gli aerei militari F16 colpivano altri palazzi sede di organi di stampa (secondo il rapporto del 22 gennaio pubblicato dal Centro palestinese per i diritti umani, Pchr, 5 distrutti e 2 danneggiati gravemente): “A volte abbiamo pensato che i bombardamenti fossero per noi, dalle finestre sono entrate schegge pericolose quanto proiettili. Certe esplosioni sono avvenute a qualche centinaio di metri da qui”.

Durante i 22 giorni di guerra, Radio Saut El Shaab ha dato informazioni su quanto accadeva nelle diverse zone della Striscia, ha lanciato appelli per gli aiuti, ha segnalato i casi più gravi, ha contribuito a rafforzare i legami fra le diverse anime della società gazawi: “Grazie ad un generatore di corrente abbiamo rappresentato per i nostri ascoltatori una voce amica e affidabile”, tuta quanta, senza distinzioni politiche.

Fino ad ora l’emittente si è finanziata attraverso introiti pubblicitari e donazioni di privati. I giornalisti sono studenti di comunicazione negli atenei della Striscia o giovani appena laureati, pagati circa 200 dollari al mese: “Hanno rischiato la loro vita girando in lungo e in largo, e tre sono stati feriti, per fortuna non gravemente”, racconta Bassem Abu Oun.

Ora lentamente si ritorna alla programmazione del tempo di pace, ma con un’attenzione speciale alla ricostruzione, sempre nel segno della solidarietà per le famiglie rimaste senza casa, per i feriti: “Siamo una radio di ispirazione democratica, non religiosa, e per questo ci interessiamo a tutta la comunità in modo continuato”, insiste il direttore, quantificando l’audience della ‘sua’ radio nell’ordine di 100.000 ascoltatori, “circa il 40% dell’audience complessiva fra Striscia di Gaza e Cisgiordania”. Ma in tempo di guerra “sono raddoppiati”, assicura. E nell’arco di due mesi la qualità delle trasmissioni saranno migliorate, grazie ad un investimento in tecnologia di circa 50.000 dollari.

Un investimento per il futuro che stride con il pessimismo esibito da Bassem Abu Oun quando è chiamato a fare previsioni sulla pacificazione nella Striscia: “Quello che hanno fatto gli israeliani – dice – è un massacro pianificato, non vedo nessuna luce in fondo al tunnel”, e conclude “Sei mesi dopo le elezioni, mi aspetto un’altra strage come questa”.

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