domenica 25 gennaio 2009

Il Fplp ai negoziati del Cairo

Gaza City. “Il vero cambiamento eravamo noi, non Hamas. Credo che adesso molta gente, più a Ghaza che in Cisgiordania, se ne sia accorta”. A parlare così è Jamil Almajdalawi, leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e membro del comitato politico del partito, il terzo movimento politico palestinese. Alle elezioni del gennaio 2006, il Fplp ha ottenuto il 5% dei voti, un risultato amaramente digerito: “Secondo me non corrisponde al reale bacino di nostri sostenitori, che dovrebbe aggirarsi intorno all’8-10%”, commenta Almajdalawi. Ma allora il desiderio della maggioranza dei palestinesi, urlato al mondo in modo inequivocabile, era voltare pagina, dimenticare la corruzione e l’inettitudine di Fatah.

Ora più che mai il Fplp svolge un ruolo di sentinella, denunciando pericoli e anomalie sia del governo di Salam Fayyad, in Cisgiordania, sia di quello di Ismail Haniyeh, a Ghaza. E rischia ripercussioni da un momento all’altro: “Se non ci sarà riconciliazione fra le fazioni politiche – spiega Almajdalawi – penso che prima o poi si esaurirà anche la tolleranza nei nostri confronti”.
Almajdalawi è in partenza per il Cairo, dove oggi si apriranno due tavoli paralleli di discussione: uno che vede protagonisti Israele e Hamas, e l’altro le diverse fazioni politiche palestinesi.
“Crediamo che questi primi negoziati rappresentino una preparazione a quelli palestinesi globali. E per noi del Fronte popolare per la Liberazione della Palestina è importante, almeno per noi”.

Una premessa: “Quello attuale è un modo sbagliato di intendere il cessate il fuoco perché quando una nazione è in una situazione di occupazione ha diritto di resistere”.
Da parte di Tel Aviv, Almajdalawi riscontra il tentativo di “dimostrare al mondo che la sua è guerra contro guerra, non guerra contro gente che sta resistendo all’occupazione. E il conflitto interno fra Hamas e Fatah non fa che aiutare e promuovere l’azione di Israele”. Il Fplp teme il protrarsi della “pressione sulla popolazione palestinese” e considera “uno scherzo la tregua su queste basi”: “Insomma la loro occupazione senza la nostra resistenza diventa occupazione a cinque stelle”.

Quanto alla seconda questione, quella della riconciliazione nazionale, il Fplp si attiene al Documento di riconciliazione nazionale, “che stabilisce di riunire i principi fondamentali della nazione, un governo nazionale unico, elezioni nuove per il Parlamento e la Presidenza per ricostruire l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina, ndr)”.
Schiacciato fra Fatah e Hamas, il terzo incomodo cercherà di facilitare la riconciliazione, quella di cui si parla sui manifesti voluti da un comitato civico nelle strade di Ghaza. “Fratelli nonostante le differenze”, recitano.
“Le condizioni imposte da Hamas puntano a ritardare la riconciliazione fra i movimenti e lo stesso vale per Abu Mazen (il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, ndr), imponendo condizioni dure a Hamas per far passare le proprie linee politiche. Sarà difficile, ma non impossibile”.

Ecco i punti condivisi con Hamas: “L’interruzione dei sotto-negoziati fra Abbas e Israele; la lotta alla corruzione dell’Autorità nazionale; la sospensione della collaborazione in fatto di sicurezza. Ma non pensiamo che uno stato retto da Hamas sia migliore. Hanno una gestione della società sbagliata. Sono una forza non democratica, che fa regredire la società, non accettano critiche”.
E conferma: “Tutto quello che si dice sulle gambizzazioni da parte di Hamas (nei confronti dei nemici politici, nella Striscia negli ultimi giorni, ndr) è vero, la violenza qui rispetto alla Cisgiordania è più forte”.

Rimane il nodo cruciale del valico di Rafah, con doppia gestione: “Otto mesi fa abbiamo proposto un piano che preveda per Mahmoud Abbas il ruolo di presidente ufficiale, mentre per Hamas quello de facto sul campo. E di utilizzare le risorse derivanti dalla frontiera di Rafah per servizi sanitari e sociali per i cittadini, non per Abbas né per Haniyeh. Comunque fino alle prossime elezioni, per noi Abu Mazen è ancora presidente”.
Altrettanto fondamentale la ricostruzione di Gaza, “possibile con la creazione di un comitato nazionale che gestisca i fondi e li convogli alle persone colpite”.

Almajdalawi sa che la liberazione del soldato Gilad Shalit sarà oggetto di contrattazione al Cairo e commenta: “Gli israeliani dicono che la liberazione è vicina, ma non è un paradosso che tutto il mondo si preoccupi di Gilad mentre ci sono 11.500 nostri prigionieri in Israele? Come essere umano, non come palestinese, questo mi offende”.

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