venerdì 2 novembre 2007

Pronto chi parla

S. ha 35 anni, il viso paffuto da bambina e uno sguardo diretto che non tradisce esitazioni. La aspetto per più di un’ora in un caffè del centro città, chiedendomi chi arriverà all’appuntamento.
La sua telefonata, nel cuore della notte 12 ore fa, mi ha lasciato perplessa.
“Ho avuto il tuo numero da uno dei miei studenti, è per il tuo reportage, ho delle cose da raccontarti”. Mi convince la sua voce, pulita, e il desiderio di incontrare una donna politicamente attiva.
Ce ne sono tante in Egitto, ma alla fine con i giornalisti parlano gli uomini. Per pudore, abitudine a rimanere dietro le quinte… o protagonismo dei loro compagni.

Mi racconta il clima di tensione e violenza in cui si sono svolte le elezioni per i sindacati degli studenti. Insegna all’Università di Ain Shams, dove “anche l’anno scorso i ragazzi sono stati picchiati da poliziotti in borghese”.
Nessuno lo dice o non abbastanza forte, ma in questo momento “quindici studenti sono ricoverati all’ospedale per le percosse subite”.
Non c’è distinzione, sono ragazzi di diversi partiti, ovviamente dell’opposizione: Fratelli musulmani, Al Ghad, Tagammu, Partito democratico. Hanno esibito striscioni e ripetuto slogan per l’indipendenza dell’istruzione. Non hanno potuto candidarsi.

S. non ha paura, anche se tutti sanno fra i suoi colleghi che è una militante politica. “Non cerco di convincere gli studenti, li invito solo a interessarsi a quello che succede nel paese, a leggere i giornali liberi, la costituzione. Provo a suscitare un po’ di spirito civico”.
Ma le pressioni ci sono. “All’inizio sembravano i consigli di persone amiche. Poi mi sono accorta che erano tutti uguali, stesso linguaggio, stessa struttura del discorso”. E tutto è risultato chiaro: la “sicurezza”, o meglio i mukhabarat (servizi segreti), sono ovunque.
Lei sorride, serena. “La mia famiglia non fa politica – commenta – ma da noi si è sempre parlato di democrazia”.
Poi conclude: “Voglio che il mio paese sia libero e indipendente. Come me”.

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