giovedì 25 novembre 2010

Pensar male va sempre bene?

Mentre la vicenda irlandese e il destino del Portogallo monopolizzano l'attenzione dell'Unione europea (nell'attesa che l'occhio lungo di Bruxelles si sposti dalle immondizie napoletane ai conti del Bel Paese), l'Ue rischia di perdere di vista un partner privilegiato nel mondo islamico, in predicato di diventare un Paese membro da 50 anni: la Turchia.
O forse no. Non tutti gli osservatori interpretano le scelte strategiche di Ankara in materia di politica estera allo stesso modo.

In un editoriale apparso sul Corriere della Sera il 23 novembre, “Nato, Iran e La Turchia che ci sta lasciando”, di Giovanni Sartori, si legge: «La Turchia, ormai, sembra guardare all’Islam: il premier turco Erdogan, al vertice Nato di Lisbona (il 19 e il 20 novembre 2010, ndr), è riuscito a ottenere che l’Iran venisse escluso dagli Stati che minacciano l’Occidente, per l’appunto protetto dai militari dell’Alleanza atlantica. Così abbiamo perso la Turchia e al tempo stesso rinforzato la mano del nostro più pericoloso nemico, l’Iran degli ayatollah. Davvero un bell’insuccesso».

Ma davvero la mossa turca risulta allo stesso tempo sorprendente e definitiva? Il commento di Valeria Talbot, ricercatrice esperta di partenariato euro-mediterraneo e Turchia dell’Istituto per gli studi di politica internazionale: «Vorrei fare alcune precisazioni, perché credo che questa prima lettura sia fuorviante. Il documento di cui parla Sartori riguarda lo scudo missilistico della Nato, che non sarà indirizzato a proteggere l’Europa da specifici Paesi, ma da generiche minacce. Peraltro nel testo non sono indicati i nomi di altre nazioni», quindi, se ne deduce, riportare solo il nominativo dell’Iran sarebbe stato inopportuno.

Dal punto di vista dell’analista dell’Ispi, in realtà, «la scelta turca in direzione mediorientale non è alternativa alla via europea, ma complementare». A maggior ragione se Bruxelles e Washington sapranno valutare questa «proiezione mediorientale» nelle giuste proporzioni.

Che Ankara sia delusa dalle difficoltà negoziali con l’Unione europea e dall’atteggiamento ostile di Francia e Germania non è una novità: questioni cruciali come Cipro e il rispetto dei diritti della minoranza curda costituiscono un freno all’avanzamento del dossier turco nel consesso europeo.

Tuttavia non è questa impasse a spingere il governo di Recep Tayyip Erdogan a rafforzare le relazioni con Tehran: «Questo è frutto di pragmatismo, di interessi energetici (l’Iran rappresenta il principale fornitore di gas di Ankara, ndr) e commerciali di rilievo (circa 10 miliardi di dollari annui di interscambio con aspettative di crescita fino a 30 mld)».

E l’attenzione turca alla questione iraniana in sede Nato riflette il tentativo di evitare una rottura fra l’Alleanza atlantica e gli ayatollah, spingendo per lo sviluppo in chiave civile del programma nucleare iraniano.
«Ma fin dagli anni ’80, e via via sempre di più nel decennio successivo, i turchi hanno rinvigorito le relazioni con il Medio Oriente. Basti pensare al flusso intenso di esportazioni verso l’Iraq che ha resistito anche durante la crisi» con il regime di Saddam Hussein.

Quanto a «sostenere che, per gli interessi occidentali sarebbe auspicabile che le strategie turche si articolassero in armonia con gli obiettivi americani ed europei, questo è un altro genere di discorso» ha commentato la ricercatrice.

Infine, la questione religiosa: l’esecutivo dell’Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo, di cui Erdogan è leader) e tutte le sue mosse sono perennemente sotto la lente d’ingrandimento.

Perché? La risposta è ovvia, anche pericolosa perché a rischio semplificazione: «Per la collocazione religiosa che noi stessi diamo alla Turchia, il modo in cui vogliamo dipingere il Paese», dando per scontato che ormai abbia girato le spalle alla laicità per un’islamizzazione senza ritorno.

Una semplificazione che potrebbe rivelarsi pericolosa e impedire di valutare lo scenario turco nella sua specificità, con un percorso diverso da quello di altri Paesi a maggioranza islamica della regione. E con differenti ambizioni politiche, come quella di ponte fra Occidente e Medio Oriente.

http://www.lettera43.it/articolo/3231/se-la-turchia-si-rivolge-verso-est.htm

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