mercoledì 3 novembre 2010

Al Asiri, dieci anni a caccia del "botto"

Della sua precedente esistenza, prima che il fuoco sacro della fede lo bruciasse, si sa poco. La cerchia familiare lo descrive come un giovane come tanti altri: la passione per la musica, un giro di amici, lo sport. Poco interesse per la religione.

Eppure Ibrahim Hassan Al Asiri, 28 anni, saudita residente in Yemen da tre anni, è uno dei più pericolosi coordinatori della rete terroristica Al Qa’ida, esperto di esplosivi e veleni secondo i servizi di intelligence americani, che lo tengono d’occhio da anni. Sarebbe lui all’origine di numerosi tentativi di attentato dell’ultimo anno.

Il mistero aleggia ancora su questo giovane, “perso di vista” nella prima fase della latitanza, quando la sua “vocazione terroristica” si è andata definendo.
Intervistata dal quotidiano algerino Al Watan, agli inizi del 2009 la madre descriveva così lui e suo fratello: «Ibrahim e suo fratello Abdullah erano come tutti gli adolescenti, poco religiosi».

E neanche i loro amici lo erano. Poi, fede e nuove frequentazioni sembrano andare di pari passi, senza che si capisca che cosa è venuto prima. Forse il trauma della morte del fratello Ali, in un incidente di auto nel 2000, ha contribuito a determinare la svolta. Ed ecco comparire in casa video di mujaheddin (militanti del Jihad) in Afghanistan, mentre i due ragazzi sono sempre più distanti e freddi con i genitori e le sorelle.

Ibrahim non è molto prudente, si fa notare al confine con l’Iraq nel 2003, mentre tenta di entrare nel Paese per unirsi ai guerriglieri islamisti contro le truppe americane. L’esperienza nelle carceri saudite, nove mesi, lo segna per sempre e lo rafforza nelle sue convinzioni.

La famiglia intanto si è trasferita da Riyad alla Mecca. Nel 2007, Ibrahim e Abdullah decidono di andarsene e trasferirsi a Medina, lasciando il padre, ex militare, nell’incertezza sulla loro sorte. Solo anni dopo i genitori vedranno le loro foto sui media locali e capiranno che, quando i due li chiamavano «dall’estero», stavano imparando a confezionare bombe sofisticate e mescolare veleni.
Al servizio della cellula di Al Qa’ida più “promettente” dell’intero Medio Oriente, Al Qa’ida nella penisola araba, conosciuta come Aqpa e nascosta come un cancro nel cuore dello Yemen.

Ibrahim ora è in testa alla lista delle 85 persone più pericolose per le autorità saudite, un’ascesa “trionfale” che lo ha reso uno dei ricercati in Yemen e nel mondo.
Di lui, artificiere sopraffino, si comincia a capire che ha un ruolo di coordinamento, che non corre rischi inutili, forse convinto di essere destinato a grandi imprese: il fratello Abdullah è già morto, lo ha mandato lui a morire in un attentato-suicida nell’agosto del 2009, all’età di 23 anni. Il bersaglio, il numero uno dei servizi segreti sauditi Mohammed Ben Nayef Ben Abdel Aziz, sfugge, ma per Abdullah, imbottito di esplosivi, non c’è scampo.

Il sacrificio del fratello deve aver fatto salire le quotazioni di Ibrahim in seno all’organizzazione: Aqpa lo sceglie per partecipare all’attentato sul volo Amsterdam-Detroit del 25 dicembre 2009. L’esplosivo che portava addosso il nigeriano 23enne Umar Abdul Mutallab, recava la sua firma. Ma anche quel tentativo non è andato in porto.

Verosimilmente ora il giovane Al Asiri (nome di battaglia Abu Saleh), arso dal desiderio di dimostrare capacità e coraggio, deve averne abbastanza di aspettare di fare il botto. Letteralmente. Di lui, temono inquirenti e servizi americani, si tornerà presto a parlare. Così come del religioso americano-yemenita Anwar Al Awlaki, colui che ha fornito ai fratelli Al Asiri e alle nuove leve del terrorismo islamista un supporto religioso.

http://www.lettera43.it/articolo/1934/al-asiri-10-anni-a-caccia-del-botto.htm

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