giovedì 21 ottobre 2010

Pomi d'oro e hashish

Un autunno caldo così, con punte massime di 40 gradi e tempeste di sabbia impalpabile che tinge tutto di giallo, non se lo ricorda nessuno al Cairo, neanche gli anziani, intervistati dalle tv locali che seguono le sorprendenti evoluzioni del meteo nazionale. E se normalmente l’apprensione dei media supera la reale portata dei fenomeni, “gonfiandoli” a dismisura, questo non è il caso.

Perché dopo sei mesi di temperature torride (anche 50 gradi nel mese di giugno nella capitale) è naturale che la maggior parte degli egiziani metta in relazione due fenomeni: il cambiamento climatico e l’inflazione galoppante che ha colpito le verdure trasformandole in un bene di lusso.

Soprattutto i pomodori, interessati da un aumento anche del 300%, sono diventati gioielli preziosi, passati da cinque a 15 lire egiziane al kg (un euro equivale a 7,95 lire egiziane). Le melanzane volano a quota 12 lire e i fagioli a 20, tutti alimenti essenziali nella dieta di un cittadino medio, ma sempre più inarrivabili: basti sapere che lo stipendio di un impiegato statale è di poche centinaia di lire al mese. Nel frattempo, la carne rossa è un miraggio, visto che costa 70 lire al kg.

«A causa dei cambiamenti climatici, quest’anno la produzione di pomodori e altri vegetali è stata esigua» ha spiegato a Lettera43 Cristina Cocchieri, ricercatrice, specializzata in Economia dei Paesi mediterranei, da tre anni al Cairo. «L’argomento occupa le prime pagine dei giornali, ma sono in pochi a valutare il rischio di una possibile crisi alimentare, per esempio considerando anche il brusco taglio dell’export di grano dalla Russia».

Niente verdure e poco riso o grano ed ecco che la dieta di tutti i giorni non passa più per la pentola: la gente comune si nutre di formaggio, qualche uovo e tè zuccherato. Inutile scomodare le padelle se non si ha neanche una cipolla da far rosolare.

Non è la prima volta, negli ultimi anni, che l’Egitto si trova ad affrontare lo spettro dell’insufficienza alimentare e del boom dei prezzi delle derrate: nel 2008, la crisi del pane causata dalla mancanza di grano ha fatto 12 vittime, cittadini morti durante le proteste popolari o nella ressa di fronte alle botteghe dei fornai.
Un tempo l'Egitto era fra i maggiori produttori ed esportatori di granaglie, ma l’aumento demografico ha capovolto la situazione: al ritmo di 1 milione di nascite all’anno, il Paese nordafricano ha superato gli 80 milioni di abitanti e procede al trotto verso nuovi traguardi.

Gli scienziati attribuiscono il rincaro delle verdure, e il peggioramento della loro qualità, a tre fattori: temperature al di sopra della media, la presenza di una mosca bianca devastante per le colture e la comparsa di un virus che attacca in particolar modo le piante di pomodori.

Il coincidere del nuovo allarme alimentare con uno dei passaggi politici più delicati della storia egiziana sta facendo drizzare le orecchie a numerosi osservatori, non solo a quelli appassionati di dietrologia. L’emergenza alimentare nel mondo c’è: finora ne hanno pagato le conseguenze peggiori Mauritania, Mozambico, Nigeria e Zimbabwe, in cui scarseggiano riso e grano.

Ma in molti si chiedono se le autorità egiziane, pilotando i prezzi delle derrate alimentari ad hoc, stiano cercando di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dagli imminenti appuntamenti elettorali: il rinnovo dell’assemblea popolare, la Camera bassa del Parlamento egiziano, il 29 novembre, e le elezioni presidenziali in primavera. Con un possibile cambio ai vertici della repubblica dopo 30 anni di regime Mubarak.

“Ashara Al Masa” (Le dieci di sera), programma televisivo trasmesso dalla tv pubblica, ha affrontato l’argomento intervistando massaie inferocite e venditori tremebondi al mercato cairota di Bab El Louq. E la dietrologia ha trionfato: tutta colpa della corruzione che infetta la società, delle elezioni che si avvicinano e di Israele (non si sbaglia mai a citarlo, nel mondo arabo) che specula.

La crisi dei pomodori, così è stata “bollata” dai giornali, segue di alcuni mesi un’altra impasse che ha duramente colpito la società egiziana, quella dell'hashish. E non c’è ironia alcuna in tale affermazione. Illegale, ma parte della cultura popolare, l'hashish è una risorsa imprescindibile per milioni di cittadini, uomini e donne, nei grandi centri urbani come nelle aree agricole e nel deserto.

“Insieme contro la crisi dell’hashish in Egitto” è il nome del gruppo nato su Facebook nel mese di aprile, a seguito del rincaro delle agognate piantine. Scarso il successo dell'iniziativa, che ha raccolto una trentina di membri per ovvi motivi.
Rastrellato dai servizi di sicurezza, accumulato dagli spacciatori per farne lievitare il prezzo oppure rimasto fermo all’origine, là dove viene coltivato nelle montagne del Sinai per difficoltà di trasporto, l’hashish ha fatto parlare di sé per settimane, senza ipocrisie, anche in prima serata. Amr Adib, anchorman egiziano di "Al Qahira Al Youm" (Il Cairo oggi), ha dedicato una puntata della sua trasmissione alle lamentele per la scomparsa dell’hashish, lasciando invece alle autorità una campagna anti-droghe.

Intanto, mentre gli spettatori si concentrano su verdure e droghe leggere, la maggioranza smonta pezzo per pezzo le opposizioni politiche, religiose e laiche, e si prepara al passaggio dello scettro dal presidente Hosni Mubarak a un nuovo “faraone”. Una strategia già utilizzata nel 2005, prima delle urne, quando la polizia si è accanita su cittadini e turisti omosessuali, arrestati al Cairo a feste private o in locali pubblici.

Ecco perché la comunità gay del Cairo è sul chi va là: «Alla vigilia della festa organizzata da un personaggio abbastanza in vista, qualche settimana fa, si è sparsa la voce che i servizi segreti avrebbero fatto irruzione» ha raccontato a Lettera43 un invitato al prestigioso party, «Visto il periodo, l’allarme è stato preso sul serio e la festa annullata all’ultimo momento».

http://www.lettera43.it/articolo/1292/pomi-doro-e-hashish.htm

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