giovedì 19 febbraio 2009

Mi accendo come una tv

"Ma dove stai andando, c'è ancora un sacco di lavoro!?". "Uffa, mi fumo una sigaretta, posso?". Dialogo surreale da me intercettato sulla soglia del makwagy sotto casa (la mia stireria-tintoria di fiducia), un bugigattolo di pochi metri quadri dentro al quale stirano come ossessi due omini consunti dal caldo.
Mentre la 'coordinatrice' dell'équipe è la moglie di uno dei due, donnina dall'intelletto fino che passa il tempo a tenere la contabilità, a curare le pubbliche relazioni con i negozianti vicini (un khudari, fruttivendolo, e un baqal, un droghiere-pizzicagnolo, insomma) e a discettare di politica mediorientale con i clienti...

Con lei assolvo alla mia funzione informativa nel più alto senso del termine. La signora mi sfila dalle mani pantaloni e stracci vari - che passa al marito-servo - e mi 'accende' come una televisione. E io mi sintonizzo sulla funzione 'lingua araba' e la nutro di aggiornamenti. Poi passiamo alla fase talk-show, ma i due schiavi stiranti non hanno diritto di parola. A volte si aggiunge qualche altro cliente di passaggio o un vicino o il bauab (il portinaio) del palazzo (ecco perché non lo trovo mai...). E via di botta-risposta, opinioni, commenti, rifessioni mai banali su questo nostro angolo di mondo e su come gli europei ci vedono (ops, li vedono) e su come la sottoscritta dovrebbe raccontare, spiegare, chiarire...

Dietro di noi la foto della Mecca, colma di pellegrini. "Vorrei vederla, ma non mi sarà mai possibile", mi lamento. E il silenzio scende sugli sbuffi dei ferri da stiro.
"Hai ragione, non è giusto", mi risponde la mia fedele telespettatrice. "Quando intervisti un pezzo grosso, uno Sheikh, chiedigli perché e poi fammi sapere".

Potere della parola, che apre gli occhi e ferma il tempo. Che sfata i luoghi comuni e regala momenti imprevisti di armonia vera.

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