lunedì 11 gennaio 2010

Natale copto insanguinato

Ero già pronta con il mio pezzo sul Natale copto, la festa cristiana che arriva inaspettata, quando i fratelli cattolici hanno già messo via il presepe. Il 7 gennaio, festività riconosciuta dallo Stato egiziano (in cui i copti rappresentano il 10% della popolazione, cioè circa 8-10 milioni di persone), i cristiani ortodossi della sponda sud del Mediterraneo festeggiano la Natività, si scambiano doni, fanno risuonare i campanili nel grande paese a maggioranza musulmana. Ma il mio articolo si è trasformato in una cronaca di sangue.

Quest'anno, nella notte fra il 6 e il 7 gennaio, un commando di tre uomini armati ha inseguito, sparando, i concittadini che uscivano dalla messa di mezzanotte. Sul sagrato della chiesa e nelle strade adiacenti, a Nagaa Hamady, piccolo villaggio del governatorato di Qena a circa 700 km da Il Cairo, sono rimaste a terra 9 vittime, fra cui un soldato musulmano sopraggiunto sul posto. Decine i feriti. I tre responsabili, musulmani, criminali noti alle forze dell'ordine, si sono poi arresi alla polizia. Gli scontri fra i due gruppi religiosi hanno messo a ferro e fuoco l'area per giorni. La versione ufficiale: i tre volevano vendicare una ragazzina musulmana, violentata da un giovane cristiano nel mese di novembre. Quella sostenuta dalla autorità copte, di solito più prudenti ma questa volta evidentemente esasperate, è che si sia trattato di un attentato a sfondo religioso.

Prima riflessione: gli amici egiziani mi raccontano di un passato non così lontano in cui cristiani e musulmani (prima degli anni '50, pure ebrei, sì sì sì) si scambiavano auguri e doni in occasione delle rispettive festività religiose. Ramadan, Eid, Natale e Pasqua condivisi. Gli egiziani erano di meno, più uniti, più ricchi, più istruiti. Non c'era spazio per intolleranza, fanatismo, pregiudizi.
Ora, la pancia vuota del Said, il sud egiziano, sorda di fame e ignoranza, è una facile preda di integralismo e violenza.

Due: lo Stato sembra perdere il controllo della sua base. Fino a due anni fa l'Egitto era un paese socialista, ma siccome mantenere tale connotazione mentre oltre la metà della popolazione ha problemi a campare, è analfabeta, vive al di sotto del livello di povertà (e un'élite ricchissima fa la spola con Parigi e Londra per istruzione e shopping) suona un po' ridicolo, la Costituzione è stata modificata. Le cose, comunque, non sembrano migliorare e il paese affonda. Forse, nel dopo Mubarak, avranno più fortuna i Fratelli musulmani nel respingere le infiltrazioni radicali, se davvero vorranno...

Tre: della dodicenne violentata due mesi fa e delle sue sofferenze ho dei dubbi che interessi qualcosa a qualcuno, ammesso che l'episodio sia vero (è preso ad alibi di scorribande anti-cristiane da mesi). Amaramente, ricordando colloqui con giovani donne dell'area di Luxor (quella lontana dai circuiti turistici), penso che nessuno vorrà sposare quella ragazzina. Che, se sarà fortunata, la sua famiglia se la terrà a casa, ma ben nascosta fra le quattro mura domestiche. Altrimenti, il suo futuro 'professionale' è già segnato...
I soliti pretesti tribali per evitare di dire le cose come stanno: nel centro e nel sud dell'Egitto, la comunità cristiana copta non ha pace. E Il Cairo sottovaluta la questione, per cecità o intenzionalmente.

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